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Giorgione a Montagnana (parte terza)
di Enrico Maria Dal Pozzolo
Il Marescalco, lo abbiamo già ricordato, fu varie volte operoso a Montagnana,
soprattutto in Duomo. La prima testimonianza del suo passaggio è il frammentario S. Sebastiano affrescato
nell'abside sinistro della chiesa. L'attribuzione spetta a Lucco che in un primo tempo indicava una
data post 1497, e poi invece ante. Quest'ultimo termine sembra preferibile (il lavoro va visto al
fianco dei due giovanili disegni del Louvre e già Koenigs ad Haarlem) e apre una serie di interventi che
si protrassero, fra partenze e ritorni, almeno fino al 1513. Egli diventò il referente quasi obbligato
della committenza cittadina.
Ma fu davvero un "giorgionesco"? Se dovessimo seguire le indicazioni della critica dovremmo rispondere
di no, sebbene talora sia stato ravvisato qualche lieve influsso. In effetti la sua opera da un certo
punto di vista è molto compatta, se si eccettua in progressivo scadimento di forma riscontrabile
soprattutto nella maturità. Tuttavia qualche pagina giorgionesca effettivamente esiste. Il primo
esempio lo proponiamo in termini assai prudenti, giacché non si tratta di una derivazione letterale.
Ma a nostro parere il San Sebastiano della Pala dei Turchini nel Museo Civico di Vicenza potrebbe bene
meditare la lezione offerta dal maestro di Castelfranco nel Guerriero degli Uffizi, o in qualcos'altro
di molto simile 18. Si vada ad osservare la costruzione della testa, il modo in cui i capelli cadono
sulle spalle, la sfrontatezza espressiva (inevitabilmente meno intensa in Giovanni); ma anche il gioco
delle mani sulla spada rispetto a quelle del S. Paolo di Vicenza.
Qualora vi fosse un rapporto effettivo,
la data 1502 apposta dal Marescalco nella sua pala confermerebbe la collocazione assai alta del
quadro degli Uffizi offerta da una parte della critica storico-artistica, e nel contempo - per
via assolutamente autonoma - dagli studiosi di armature. Se infatti Lionello Boccia ci precisa che
l'arco di tempo è senza dubbio il 1500-1505 (più vicino, comunque, al primo dei due termini), c'è
anche chi puntualizza un 1501 che verrebbe a legittimare il rapporto col Buonconsiglio. E si tenga
ben presente che le modificazioni tipologiche delle armature erano rapidissime, e nessuno mai avrebbe
voluto farsi ritrarre così suntuosamente indossandone una passata di moda.
Assolutamente spiazzato,
dal punto di vista cronologico, risulta quindi il riferimento al Cavazzola, che a tutt'oggi alcuni
continuano a riproporre. Ma è poi l'abisso di genialità che separa l'artista veronese, pur nobile,
da Giorgione a dare il colpo di grazia: basti considerare la debolezza intrinseca di certe Madonne
che ne aprono il catalogo, come quelle del Museo di Castelvecchio a Verona o delle Gallerie veneziane.
Tornando al Buonconsiglio la situazione introdotta con la Pala dei Turchini viene a focalizzarsi,
ci pare, grazie alla grande Madonna col bambino delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, affresco
strappato dall'ospedale della Misericordia di Montagnana e in genere posto circa al 1505.
All'interno di un linguaggio che è sempre ostinatamente fedele a se stesso, vi si attesta la
conoscenza del clima che stava mutando in laguna nel primo lustro del secolo. Osservando la
costruzione del gruppo e l'espressione della Vergine riconosciamo la frequentazione di Boccaccio
Boccaccino (nelle Madonne Liechtenstein e di Palazzo Ducale), che per certi versi vuol dire,
in questi anni, ancora Giorgione: il sodalizio tra i due sta emergendo dalle ricerche di Alessandro
Ballarin, purtroppo solo espresse in simposi e non ancora pubblicate. Si raffronti poi il
volto di Maria con opere di Giorgione quali, ad esempio, l'Apollo con freccia di Vienna; ma soprattutto
con il disperso Ritratto già Koudacheff di Firenze per il quale - sospendendo il giudizio sull'autografia,
ovviamente - non è immaginabile altro contesto stilistico a Venezia se non quello del protoclassicismo
peruginesco e boccacciniano che si diffonde al passaggio tra i due secoli.
In verità, però, entro il catalogo del Buonconsiglio non si recupera molto che si possa mettere
strettamente in rapporto al David e alla Giuditta. Il parallelo più calzante è quello fra Giuditta e
la Caterina che ci osserva intensamente da una tavola conservata presso la Cassa di
Risparmio di Padova, resa nota nel 1972 da Rodolfo Pallucchini. Il pezzo va posto entro un
soggiorno a Montagnana giacché, come notò il Centro Studi sui castelli nel primo studio sul disegno
giorgionesco di Rotterdam, sullo sfondo appare una veduta della Rocca degli Alberi; ed è altrettanto
verosimile che esso sia stato eseguito dopo il 1506, dal momento che la Santa riecheggia certe
creature di Dùrer, che fu a Venezia dalla fine del 1505 a tutto il 1506.
È indubbio: si tratta di un confronto del quale non si può non tenere conto. Eppure bisogna
intendersi su come risolverlo. Infatti la prospettiva che il David e la Giuditta siano del
Buonconsiglio pone anche grosse difficoltà. Abbiamo visto che in contatto con Giorgione tra il 1500 e
il 1505 è probabile, secondo noi certo. Esso però appare a sprazzi e sempre assorbito all'interno di
un linguaggio tanto personale e coerente da divenire, dopo le prove strabilianti degli anni '90
(intendiamo la Pietà di Vicenza e l'attribuita decorazione del Monumento Onigo di Treviso) e le
prime del nuovo secolo, abbastanza noioso.
Di fronte alle opere nelle quali pure è distinguibile
un influsso altrui non potremmo mai avere il dubbio che non si tratti del pittore vicentino, a
tal punto egli è stilisticamente definito. È sintomatico, quindi, che la prima proposta di Puppi
sulla sua possibile paternità degli affreschi non sia stata assolutamente accolta dalla critica,
che pure poteva vederli riprodotti prima dell'estesa ridipintura. E osservando bene, lo stesso Puppi,
che accompagnava la didascalia con un eloquente punto di domanda, per supportare tale attribuzione
citava a confronto una tela che oggi non c'è più motivo di riferire al Marescalco, ossia il Leone di
san Marco e Santi della Cà d'Oro. Il problema era chiaro ai suoi occhi, ci pare, al punto da
dover ipotizzare un ulteriore ritorno a Montagnana dopo il 1513; mentre abbiamo visto che molti sono
gli elementi che concorrono ad ancorare la data sugli inizi del '500.
Quel che più intriga nell'ipotesi Marescalco è il fatto che realizzando il David e la Giuditta egli
avrebbe dovuto spogliarsi quasi integralmente di se stesso, per vestire i panni di un pittore ben
più giovane di lui al quale, però, mai altrove porse omaggi tanto sentitamente incondizionati: perché in
effetti tali sarebbero gli affreschi. E neppure si può pensare che copiasse qualcosa che gli era stato
messo di fronte, dal momento che - lo ripetiamo - sono riscontrabili numerosi pentimenti. Soprattutto
avrebbe assunto una poetica connotata da interessi che poi dimostrerà di non curare affatto: iconologici
(lo chiariremo innanzi) ma anche paesistici.
I due eroi biblici di Montagnana stanno in un luogo
ventilato e apertissimo, dolce e ameno, che davvero richiama i paesi di Giorgione. Al contrario
il Buonconsiglio, subito dopo Pietà di Palazzo Chiericati - nella quale apre sì una veduta, ma
completamente diversa - mai più si applicò problematicamente a tale tematica; ed è assai strano,
trattandosi di uno degli esercizi prediletti dalla cultura pittorica lagunare del primo Cinquecento.
Le sue Sacre conversazioni vengono accolte sotto archi massicci, potentemente voltati. Anche quando,
in pochissimi casi (come quello della Cassa di Risparmio di Padova), concede spazio a una finestra,
essa è subito riempita da mura e strutture castellane, a testimoniare un amore per l'architettura che
lo spinge - perfino - a dare al figlio il nome di Vitruvio.
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